Incanto e disincanto a Domodossola Appunti di storia dell’arte sull’iconografia di San Francesco

La riapertura al pubblico, dopo innumerevoli anni di oscurità delle collezioni dei Musei Civici Gian Giacomo Galletti di Domodossola, ha permesso di poter rifruire di un gran numero di preziose opere e manufatti artistici di grande interesse. Questa nuova rinascita delle collezioni domesi ha dato lo spunto per la realizzazione al piano terreno di quella che un tempo era la chiesa di San Francesco una mostra temporanea dedicata all’iconografia del Santo titolare. Curata da Antonio D’Amico l’esposizione si intitola Incanto e disincanto. La forza delle idee e sarà visitabile fino al prossimo 31 dicembre 2021 dal venerdì alla domenica. Il piccolo catalogo edito da Sagep è composto di 48 pagine e costa 12 euro.

La prima parte della mostra racconta le vicende costitutive dei Musei Civici domesi e prende in considerazione le figure dei due “fondatori”, Gian Giacomo Galletti (Bognancodentro, 1789 – Parigi, 1873) mecenate, erudita, stratega finanziario e fondatore della Società Italiana di beneficienza di Parigi e Giacomo Pollini (Parigi, 1827 – Torino, 1902), medico, storico e patriota nato da una famiglia di Malesco. Senza le personalità così internazionali di questi due illustri uomini le collezioni dei Musei di Domodossola non ci sarebbero state; a Galletti e alla sua fondazione domese si devono infatti la salvezza e il recupero di gran parte del patrimonio storico artistico e culturale della valle, a cominciare da Palazzo Silva, dalla biblioteca e dal primario nucleo dei musei; ma è stata forse la personalità del Pollini ad aver rimpolpato in modo organico le collezioni domesi con importanti lasciti, ben quarantadue, avvenuti tra il 1880 e il 1902 con quadri a olio, stampe, disegni, libri, album, incisioni, fotografie, miniature, medaglie, pergamene, monete e molti altri oggetti. Insomma senza questi due uomini tutto quello che oggi si può ammirare al secondo e al terzo piano di Palazzo San Francesco non ci sarebbe pervenuto e noi non ne avremmo potuto godere.

Fig. 1. Palazzo San Francesco, ex chiesa di San Francesco oggi sede dei Musei Civici di Domodossola

Questa “sezione” della mostra raccoglie, tra le altre cose, quattro bei ritratti di Gian Giacomo Galletti tra cui spiccano quelli di Carlo Giuseppe Cavalli del 1890 e quelli di Giovanni Giuseppe Loretti rispettivamente del 1868 e del 1875. Di Giacomo Pollini è esposto invece il ritratto che di lui dipinse Carlo Patritti nel 1858. Sarebbe forse il caso di rendere in futuro questa “sezione” permanente poiché mi sembra che spieghi abbastanza bene le due figure che grazie alle loro azioni hanno reso possibile la realizzazione dei Musei Civici cittadini.

La seconda “sezione” della piccola esposizione riunisce invece alcune opere dedicate all’iconografia di San Francesco, santo a cui era originariamente dedicata la chiesa. Al centro, nello spazio di quello che un tempo era l’abside dell’edificio religioso campeggia la magnifica tela (purtroppo molto sciupata a causa delle rocambolesche vicende conservative) di Guercino con San Francesco che riceve le stimmate del 1633, proveniente dalla Cattedrale di Novara ma un tempo nella chiesa di San Francesco a San Giovanni in Persiceto nei pressi di Bologna e poi finita, prima di arrivare a Novara, nella chiesa di San Giovanni Battista a Campello monti nei pressi di Verbania.

Fig. 2. Giovanni Francesco Barbieri detto Guercino, San Francesco riceve le stimmate, 1623, Novara, Cattedrale, abside.

Voltandosi sulla destra ecco che si trovano altre splendide opere di iconografia francescana come il bel San Francesco in preghiera davanti al crocifisso di collezione privata, opera di Federico Barocci databile fra il 1595 e il 1600 circa; lo splendido San Francesco stigmatizzato, sempre di collezione privata, di Antonio d’Enrico detto Tanzio da Varallo e databile introno al 1611-1614 circa, poco prima cioè di quel capolavoro che è il San Carlo Borromeo che comunica gli appestati della Collegiata di Domodossola e da mettere in relazione, specie per il paesaggio, con la tela raffigurante San Francesco riceve le stigmate della Pinacoteca di Varallo databile tra il 1616 e il 1617 circa. Chiude la parte destra della mostra la tela con la Madonna con Gesù Bambino e San Francesco di Melchiorre Gherardini detto il Ceranino allievo di Giovan Battista Crespi detto il Cerano proveniente dal Palazzo Vescovile di Novara, purtroppo molto male illuminato per una completa fruizione. L’opera databile agli anni Trenta del 1600 è da mettere in rapporto stilistico con la bella tela oggi in San Martino a Novara (già Santa Maria delle Grazie) raffigurante il Martirio di Sant’Agnese ma proveniente dalla chiesa novarese dedicata alla Santa effigiata nella tela.

Fig. 3. Antonio d’Enrico detto Tanzio da Varallo, San Francesco stigmatizzato, 1611-1614 circa, collezione privata, courtesy Robilant + Voena

Spostandosi poi a sinistra si incontrano altre tele sempre dedicate all’iconografia di San Francesco. Qui si può ammirare il San Francesco in meditazione di Charles Mellin dipinto intorno al 1624-1625 circa e oggi in collezione privata, il San Francesco con teschio del pittore bolognese Bartolomeo Passerotti eseguito intorno al 1570 sempre proveniente da una collezione privata e lo splendido San Francesco in estasi sorretto da un angelo (databile agli anni Novanta del Seicento) del pittore bellunese Sebastiano Ricci, una vera rivelazione della mostra se non fosse per la tremenda illuminazione che fa ahinoi perdere gran parte della magia di questo straordinario capolavoro proveniente dalla chiesa collegiata di San Ambrogio a Omegna. Se ne può avere un buon appunto visivo consultando il catalogo della mostra (pp. 42-45). Devo ammettere che non sono riuscito a godere a pieno la bellezza delle opere poiché disturbato o meglio infastidito da alcuni lavori di allestimento per un evento che sarebbe andato in scena la sera stessa in cui sono andato a visitare i Musei. Fili, casse, strumenti e addetti ai lavori hanno suscitato non poco disturbo che ahimè si sarebbe potuto evitare chiudendo il museo qualche minuto prima o spostando i lavori ad altro momento forse più consono, peccato!

Fig. 4 Sebastiano Ricci, San Francesco in estasi sorretto da un angelo, 1690 circa, Omegna, chiesa collegiata di Sant’Ambrogio

In questa mostra sono state radunate diverse importanti opere che sicuramente dovrebbero portare lo spettatore a riflettere sulla grande diffusione dell’iconografia di San Francesco e sulla vasta eterogeneità di modi con cui questo soggetto è stato trattato dai più disparati pittori, da quelli più conosciuti a quelli più defilati rispetto al grande circuito dei nomi celebri della storia dell’arte. È chiaro che in questa mostra sono stati radunati esemplari di artisti che affrontano l’iconografia di San Francesco entro il termine cronologico dell’età che va sotto il nome di “Barocco”. Ma non si potrebbe concludere questi brevi appunti di storia dell’arte sull’iconografia di San Francesco senza menzionare l’autentica rivelazione della mostra, e cioè la superlativa tela rappresentante San Francesco abbraccia Cristo crocifisso del pittore sivigliano Bartolomé Esteban Murillo (Siviglia, 1818 – 1682). L’opera proviene da una collezione privata madrilena, ed è databile tra il 1668 e il 1669 circa. Non se ne conosce l’esatta e originaria provenienza, si sa tuttavia che nel 1665 Murillo riceve dai monaci cappuccini di Siviglia il compito di progettare ed eseguire un ampio ciclo decorativo per il convento della città. Murillo, data la complessità dell’opera, si trasferì addirittura presso il convento e il suo soggiorno terminò introno al 1669. Il progetto prevedeva ben diciotto tele, un ciclo unitario di rara bellezza che fu orribilmente disperso a partire dal 1835 dalle note soppressioni conventuali avvenute in epoca napoleonica. Per fortuna le tele sono state riunite a partire dal 2017 tutte in unica location ovvero alla mostra del Museo de Belles Artes di Siviglia che ora conserva la maggior parte delle tele dei padri cappuccini. Per quanto attiene la nostra opera in esame, la scheda di catalogo ipotizza che essa venisse offerta ai cappuccini come modello in sé concluso in vista di approntare la grande tela eseguita nel 1669 e oggi al museo di Siviglia e che originariamente si trovava nella grande cappella destra della navata della chiesa. Dell’opera ci sarebbero diverse versioni come ad esempio il disegno con la stessa composizione (1668-1669) conservato presso il Courtauld Institute di Londra. Come si legge nel catalogo (alla cui scheda si rimanda per ogni minimo dettaglio), il foglio londinese rappresenta una prima idea dell’intera composizione. Sempre il catalogo afferma che per la sua composizione il pittore spagnolo, oltre che ad una varietà di fonti grafiche e letterarie, si ispirò all’incisione, dal sapore ancora pienamente controriformato, di Johannes Wierix databile entro il 1585 che si conserva al Rijksmuseum di Amsterdam. L’opera sempre secondo la scheda di Giulia Spoltore, è di grande ispirazione spirituale in cui il naturalismo rende partecipe il riguardante dell’intensità della relazione tra Cristo e San Francesco espressa nell’abbraccio, che sembra essere il vero e proprio soggetto dell’opera. Ancora, il contrasto accordato tra la morbidezza della mano ferita del Cristo che cinge la spalla di Francesco, e il panno ruvido dell’abito ribadisce una reciprocità che sembra essere il vero soggetto della tela. La narrazione familiare e intimistica del soggetto, nonché la grande umanità della scena fece rimanere gli spettatori colpiti poiché si prestava allora come oggi ad un’intima contemplazione. Tali ragioni, unitamente alla particolare devozione della città di Siviglia a San Francesco, hanno fatto in modo che quest’iconografia elaborata da Murillo si diffondesse su larga scala tramite versioni autografe, repliche e copie in scala ridotta.

Fig. 5. Bartolomé Esteban Murillo, San Francesco abbraccia Cristo crocifisso, 1668-1669 circa, collezione privata.

Su quest’ultimo punto vorrei spendere qualche parola, poiché mi sembra doveroso segnalare l’esistenza di una copia decisamente di grandi dimensioni dell’opera di Murillo poc’anzi analizzata. Si tratta infatti di un affresco che si trova lungo la parte sinistra del presbiterio nella piccola chiesa di San Bartolomeo a Villette in Valle Vigezzo, non molto distante da Santa Maria Maggiore e Malesco e a una manciata di chilometri da Re e dalla Svizzera. La chiesa di origine romanica divenne parrocchia autonoma nel 1558 staccandosi da quella di Re; a partire dal 1626 l’edificio parrocchiale venne completamente ricostruito e decorato durante tutto il corso dell’Ottocento. Il soggetto così come la composizione è la medesima della tela esposta in mostra. Non credo che fino a questo momento l’importanza dell’affresco vigezzino sia stata sufficientemente evidenziata. Credo infatti che la notizia avrebbe dovuto essere messa in catalogo come una derivazione assai fedele dell’opera e per di più nei territori in cui l’opera di Murillo è stata esposta, anche se si tratta di una copia molto più tarda rispetto alla tela in mostra. La cronologia dell’affresco di Villette credo sia infatti da situarsi entro gli anni Ottanta del XIX, secolo in linea con il resto della decorazione della chiesa. Sul fatto che l’affresco di Villette sia una copia dell’esemplare di Murillo non credo ci sia alcun dubbio.

Fig. 6. Pittore Vigezzino (?), San Francesco abbraccia Cristo crocifisso (copia da Bartolomé Esteban Murillo), entro l’ultimo quarto del XIX secolo, Villette, chiesa di San Bartolomeo.

Quello su cui bisognerà ragionare, magari in altre future ricerche di approfondimento su questo tema, è cosa ci faccia una replica così fedele dell’opera di un pittore come Murillo sul muro di una quasi sperduta chiesetta della Valle Vigezzo. Che io sappia non ci sono altre opere in Valle Vigezzo che replichino invenzioni del pittore sivigliano eccetto quella su cui stiamo ragionando. Le possibili risposte all’interessante quesito possono essere diverse. La prima, quella forse più logica è che il pittore anonimo che ha dipinto la replica dell’opera di Murillo conoscesse il dipinto in originale o che fosse in possesso di una qualche stampa o incisione o disegno diffusasi o acquistata intorno alla prima metà o poco oltre del XIX secolo che riprendeva l’opera per i padri cappuccini di Siviglia. Un’altra possibile soluzione alla nostra domanda potrebbe forse prendere in considerazione il fatto che il pittore di Villette conoscesse l’opera originale vista magari durante un viaggio di formazione a Siviglia prima della soppressione del convento cappuccino; o la terza e meno probabile ma alquanto avvincente ipotesi è che l’opera esposta in mostra abbia chissà mai per quali vie transitato in un contesto ossolano, magari non lontano dalla Valle Vigezzo proprio in seguito alle varie dispersioni di opere d’arte in epoca napoleonica e che il pittore di Villette ne sia venuto in qualche circostanza a conoscenza e abbagliato da tanta bellezza abbia deciso di riprodurla sulle pareti della chiesa di Villette. Sia come sia l’affresco sulla parete sinistra di San Bartolomeo è certamente di qualità superiore rispetto a tutto il resto della decorazione del piccolo edificio, eccezion fatta forse per la tela di Francesco Laurenti con la Cattura di San Pietro del 1833 e il bell’affresco dal sapore ancora tiepolesco con il Martirio di San Bartolomeo sulla parte di fondo dell’abside della chiesa opera del pittore vigezzino Bernardino Peretti datata 1884.

Molto ci sarebbe ancora da dire, specie per quanto attiene alle collezioni vere e proprie dei “nuovi” Musei Civici di Domodossola, compito a cui non intendo sottrarmi, magari in un prossimo articolo.

Marco Audisio

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